giovedì 27 novembre 2014

Questa è una favola moderna.
Che poi, le favole si presuppone abbiano un lieto fine, un “vissero felici e contenti”. E invece questa favola una fine non ce l’ha.
Ma che volete, io ve l’ho detto che è una favola moderna e, nei tempi moderni, tutto è precario... pure le favole.
Quindi non venitemi a dire che non vi avevo avvisati.
Oh, dicevamo.
Dunque, l’eroina della nostra storia non è, che ve lo dico a fare, una bellissima principessa con i capelli biondo grano e gli occhi color del cielo.
E’ una donnina tarchiatella, con capelli neri come la pece e occhi dal taglio vagamente orientale.
Neanche il temperamento è proprio regale. 
Non siete affatto stupiti, lo so.
Che cosa volete farci, lei non ha mai particolarmente apprezzato quelle principessine gne gne tutte sorrisi e parole zuccherose. Così appiccicose, così inverosimili e melliflue.
Lei è sempre stata tutto il contrario. Il suo è un linguaggio che, per usare un eufemismo, potremmo definire colorito.
Sarcastica, pungente, simpaticamente scurrile.
Visto, l’amate già! Eh lo so, ma lei è così e si può solo amarla od odiarla. Niente vie di mezzo. 
Ma voi l’amate, giusto? Che se dite il contrario io questa storia non la continuo e voi vivrete il resto dei vostri giorni domandandovi come sarebbe andata a finire.
Dunque, visto che in ogni favola che si rispetti si parla d’amore (grazie Disney per questo trauma), la domanda è: come vive la nostra eroina l’amore?
Ah, che stolta! Parlo, parlo ma non vi ho ancora detto il suo nome.
E’ che non ci ho ancora pensato.
Mumble, mumble… come posso chiamarla?
Non può avere uno di quei nomi da favoletta Disney che poco le si confanno. Ci vuole un nome incisivo, qualcosa che renda l’idea del nostro personaggio.
Uhm vediamo, sì ecco: Diana, come la Dea della caccia.
Un bel nome cazzuto per la nostra principessa moderna.
Or dunque, Diana e l’amore.
Diana non ha mai sognato il principe azzurro. I suoi sogni di bambina non contemplavano nessun principe, nessun matrimonio. Già da piccola al “vissero felici e contenti” non ci ha mai creduto.
Che mica nessuno ha mai raccontato cosa succedeva dopo e lei di principi e principesse per sempre felici non aveva mai conosciuti.
Diana era una bambina grassottella, ribelle, vivace, che amava fare giochi da maschiaccio e credeva che le bambole potessero giusto occupare il posto su una mensola, niente di più.
Nei suoi sogni si vedeva sempre come una donna forte, determinata, indipendente.
Immaginando il futuro, i discorsi delle sue amiche iniziavano tutti più o meno con “quando mi sposerò” mentre, i suoi,  erano tutti un “quando vivrò da sola”.
Forse perché era cresciuta in un piccolo castello che non aveva conosciuto un solo giorno di pace e serenità.
La Regina Madre era una donna piccolina e nevrotica. Era un fuscello tenuto su da un ammasso di nervi e crisi isteriche. Ancora adesso, anche scavando a fondo nella memoria, Diana non riuscirebbe a trovare un solo giorno in cui l’abbia vista serena e sorridente.
C’era sempre una ragione per urlare, litigare, piangere o essere ansiosa. Ed ogni giorno trovata una ragione per sfogare le sue frustrazioni sui figli con urla e botte da orbi.
Il Re agli occhi di Diana era stato, per tutti gli anni dell’infanzia, un ometto pacioso e buono come il pane che riusciva in qualche modo a placare le ire furibonde della Regina Madre.
Ma, crescendo, l’aveva visto per quel che era: un uomo debole, succube, silenzioso, apatico.
Il Re e la Regina sono ancora insieme dopo più di 40 anni, ma felici e contenti proprio no.
Sicché potete facilmente immaginare perché la nostra eroina sia cresciuta lontana dal mito dell’amore eterno e sdolcinato.
Per tanto, tanto tempo Diana ha seriamente pensato di non meritare l’amore.
Lo sognava, eccome se lo sognava. 
Sognava un uomo forte, deciso e pieno di tenerezze. Un uomo al quale svelare il suo mondo interiore, tutta la dolcezza che teneva ben nascosta sotto la sua scorza da donnina tosta.
Un uomo al quale regalare le risate, i giochi, le storie, le sue paure. 
Ma non si sentiva all’altezza. Non si sentiva speciale abbastanza da meritare un amore così.
La Regina Madre glielo ripeteva ogni giorno che non era abbastanza bella per l’amore. Nessun uomo avrebbe mai voluto una come lei, intelligente e spiritosa certo, ma troppo grassa per essere amata. 
Un mantra ripetuto costantemente fino a costringerla a pensare che fosse vero. In fondo, se persino sua madre aveva difficoltà ad accettare una figlia come lei, come avrebbe potuto farlo un uomo?
Gli anni dell’adolescenza li passò chiusa nel suo bozzolo di insicurezze e tristezza. A guardare le vite degli altri e a domandarsi se mai sarebbe toccato anche a lei un pezzetto di cielo.
Crebbe con il coltello fra i denti Diana. Lasciò il castello appena poté e cercò ovunque il suo posto attraversando vallate di fitta nebbia e uragani talmente violenti da farle quasi dimenticare che il sole, prima o poi, torna sempre.
Incontrò molti rospi che non diventarono principi neanche dopo mille baci.
Il fatto è che Diana pur non sognando l’amore eterno, si portava dentro un disperato bisogno di amore. Un amore che ha cercato affannosamente anche negli occhi di chi non avrebbe saputo assolutamente che farne.
Dopo ogni delusione, ad ogni rifiuto, dopo ogni addio, Diana si ripeteva che era colpa sua. Una come lei non meritava l’amore e quegli uomini facevano assolutamente bene ad andare via, avrebbero trovato di meglio.
Fino a quando capì che l’amore non si merita. L’amore accade. Semplicemente. 
Non a tutti. C’è chi vive una vita intera senza neanche sfiorarlo. Ma questo non vuol dire smettere di sperarlo, sognarlo, aspettarlo.
Così capitò una sera di giugno. Una festa alla quale lei proprio non voleva andare perché lei, le feste, non le ha mai amate. Troppa gente sconosciuta, si sarebbe sentita a suo agio come un pesce rosso fuori dalla boccia.
Ma era il compleanno di un caro amico, come mancare? E poi c’era la sua amica, quella particolare che legge le carte, che le aveva detto “devi andare. Conoscerai un uomo importante per te. Sarà una bella storia. Devi andare”.
Non che lei avesse mai davvero creduto a queste cose, ma si disse che sarebbe andata giusto per poter dire “visto, non è successo niente.”
Indossò il suo abito preferito, un rossetto rosso, il sorriso più sincero e andò.
La festa non era un granché. Qualche amico, alcol a fiumi, qualche chiacchera.
Già ghignava fra sé osservando i partecipanti e pensando che lì in mezzo lei riusciva solo a vedere rospi. 
Poi, ad un tratto, un vociare concitato di saluti allegri alle sue spalle. Si voltò incuriosita ed in quel momento il mondo si fermò.
Un uomo dai folti capelli neri, lo sguardo fiero ed un sorriso disarmante si stava facendo largo tra saluti e strette di mano.
Per un istante i loro sguardi si incrociarono e Diana sentì tutto il suo corpo compiere uno sforzo straordinario per impedire alle ginocchia di cedere.
Fece l’unica cosa che una come lei avrebbe potuto fare: nascondersi.
Si nascose per buona parte della serata fino a che, senza capire come, si ritrovò seduta di fronte a lui. Niente con cui nascondersi, nessuna scusa da inventare.
Lo ascoltò parlare per forse due ore e, ad ogni sua parola, si sentiva sempre più affascinata. Mentre lui parlava lei riusciva solo a pensare che avrebbe voluto passare la vita ad ascoltarlo ma che, forse, lui era il principe e lei il rospo.

Ecco questa è la storia di come Diana abbia perso il suo contatto con la realtà la notte in cui incontrò questo principe in camicia bianca. Ma non vi dirò come va a finire.
Ve l’avevo detto che questa favola una fine non ce l’ha!
Anche perché Diana ancora non lo sa se lei ed il principe si vedranno ancora. Ancora non sa se il loro incontro è stato solo un sogno di mezza estate o se diventerà realtà.
Il principe è nella sua torre d’avorio ora, in attesa che l’inverno passi. Non lo sa quando passerà. 
Ma a Diana non importa. Perché lei è una combattente, sapete? Ed ha un cuore testardo.

Quando racconta la sua vita al castello, le sue lotte per trovare la strada, le mille burrasche, si sente sempre dire: “sei una donna forte, Diana.”
Ogni volta, Diana annuisce ma dentro di sé scuote violentemente la testa. Lei non si sente forte. Si sente solo una sopravvissuta che non sa smettere di sognare.

mercoledì 19 novembre 2014

Domenica sera, davanti al cheeseburger più buono in assoluto, M. mi ha chiesto insistentemente del mio blog. Voleva sapere di cosa parlo, cosa scrivo.
Davanti alle mie risposte evasive, guardandomi intensamente negli occhi, mi ha detto “Scusa, non voglio sembrarti invadente. E’ solo che vorrei capirti di più. Per me tu sei un mistero. Che da una parte è eccitante dall’altra è disarmante. Quando penso di averti capita, tu dici o fai qualcosa che mi riporta al punto di partenza e capisco di non averci capito niente.”
Ho sorriso abbassando gli occhi e ho deviato il discorso.

Perché in fondo ha ragione. Non è facile capirmi. Almeno non per lui. Non è che io lo faccia apposta eh. E’ solo che troppe volte ho messo a nudo l’anima sbagliando clamorosamente. E poi anche io non capisco lui. Non capisco cosa voglia da me. Che è cominciata come se dovesse regalarmi la luna sul palmo di mano e poi il tutto si è arrestato dopo un mese con un “non voglio impegni, non voglio legarmi.”
E a me stava anche bene che finisse. Perché M. mi piace, ci sto bene, mi fa ridere. Ma il mio cuore non batte. Quando sono con lui sono contenta ma il mio cuore se ne resta lì appoggiato alla tappezzeria a guardare gli altri che ballano e si divertono.
Però, in tutto questo, M. ha continuato a farsi sentire e a volermi vedere. Ed io gli ho detto sì. Sì perché ci sto bene e perché, sarà debolezza, ho bisogno di due braccia di compagnia. Ho bisogno di avere qualcuno che mi pensi un poco, che mi parli, che mi faccia ridere e che mi desideri. Anche se non è Lui. Anche se domenica notte quando si è addormentato abbracciato a me, ho chiuso gli occhi e ripensato a quanto il mio cuore martellasse nelle orecchie quando era stato Lui ad addormentarsi abbracciato a me lasciandomi sveglia a contare i suoi respiri.
M. in questo momento è una coperta. Una coperta di quelle un po’ corte che lasciano sempre scoperte i piedi. E credo di esserlo anche io per lui. O forse sono solo un’amica speciale. Non lo so. Ma so che la mia anima è stata presa, spogliata e ribaltata da quegli occhi neri ed immensi che ha Lui ed io non posso darla a nessun altro. Non ora.
Ho preso il mio cuore un po’ acciaccato e mal ridotto e l’ho messo nelle sue mani. Gli ho detto “eccolo, è tuo. Fanne ciò che vuoi.”
E lui l’ha preso e messo lì in un angolo. In attesa che l’inverno che si porta dentro passi.
O forse questa è solo la sciocca interpretazione di una cinica sognatrice incallita.
Ho scelto di defilarmi, di starmene nell’ombra senza chiedergli nulla e mi guardo vivere.

E nel frattempo il mio cuore continua a bruciare.

martedì 11 novembre 2014

"E non avere paura di perdere. Se deve succedere, succede - la cosa più importante è non avere fretta. Le cose belle non scappano". (John Steinbeck)

E invece io ho paura.
Ora che sono ad un passo da te, io ho paura. Una paura paralizzante che blocca il respiro, aggroviglia lo stomaco e fa sentire le gambe pesanti come piloni di cemento.
Paura che io abbia sognato troppo, che questa volta i miei desideri si siano spinti un po' troppo in là.
Mi guardo nello specchio e mi dico "Ma cosa ti sei messa in testa?".
In fondo l'amore, troppo spesso, mi ha solo sfiorata limitandosi a passarmi accanto abbastanza vicino da farmi sapere che esiste ma non abbastanza da farsi toccare.
E allora, mi chiedo, perché ora dovrebbe essere diverso?
Perché dovrebbe andare diversamente proprio con te che mi sei entrato così prepotentemente in testa? 
Mi dicono di essere ottimista, di stare tranquilla. Ma chi, come me, è tanto abituato a cadere alla fine dimentica di essere in grado persino di camminare.
Figurarsi se posso pensare di essere in grado di vincere questa lunga corsa ad ostacoli che porta il tuo nome.
A mia discolpa posso solo dire che io ci ho provato a scappare. Quando ho capito che quegli occhi di brace mi avrebbero preso e spogliato l'anima, mi sono detta che avrei rinunciato. 
Fino ad un attimo prima ho pensato di scappare via. Da te. Da me. Da quello che sapevo sarebbe accaduto e dallo tsunami che avresti provocato dentro di me.
Ma poi non ce l'ho fatta. Non ho avuto il coraggio di rinunciare. Perché ci sarebbe voluto un gran bel coraggio a rinunciare a qualcosa di così bello per non soffrire poi.
Ed ora sono qui ad aspettare.
E mi conosco abbastanza da sapere che questa attesa mi consumerà anima, cuore e sangue. E il chiacchiericcio di sottofondo dei ben intenzionati che danno consigli non fa che esasperarmi. 
Perché si fa presto a dire "devi stare tranquilla, devi stare calma, non sperare troppo, vivila." 
Io non ho altro modo per sentire le cose se non questo: intenso, lesivo, fino in fondo, da consumare il fiato. 
Sono così: cervellotica ed emotiva. Essere me è una fatica immane. Una fatica h24. E non me ne faccio niente di chi mi dice "devi viverla giorno per giorno." Dire una cosa del genere a me sarebbe come dire ad un'anoressica "Mangia."
E grazie al cavolo.
Ho liquidato consiglieri e ben intenzionati. Ho licenziato tutti. Lasciatemi qui, nel mio piccolo mondo, ad accarezzare la speranza ed aspettare. Lasciatemi vivere tutto questo nell'unico modo in cui sono capace. Che tanto alla fine i lividi sul cuore li ho io mica voi. 
Magari perderò ancora una volta. O forse, forse.. forse per una volta andrà diversamente.
In fondo "Se deve succedere succede". no?